12/05/16

Tutto il calcio, cornuto per cornuto

Circa un anno fa, il governo Tsipras (in Grecia) decise di fermare il calcio per la troppa violenza negli stadi. Una decisione importante, ma purtroppo obbligatoria da parte di un politico che tiene al suo paese. Ma se ciò accadesse in Italia?


Non oso immaginarne le conseguenze, probabilmente perchè il calcio è così radicato nel DNA degli italiani, che è quasi impossibile estirparlo. Gli italiani sarebbero pronti a scendere in piazza, pur di riavere il loro sport preferito. Più che uno sport, il calcio è ormai un business, le cifre che circolano sono così alte da far invidia ad uno sceicco. Il problema del calcio, come giustamente ha capito il primo ministro greco, è soprattutto la violenza, propria dei tifosi, che molte volte parte dagli stessi giocatori.

Ogni domenica assistiamo a spettacoli raccapriccianti, di tifosi che si insultano, insultano le squadre avversarie, tirando in ballo anche gli eventuali parenti e il lavoro poco onesto della madre della persona insultata (senza considerare che tutti gli arbitri, senza eccezioni, sono sposati con donne che hanno la fama di andare a letto con chiunque passi per strada). Ci vorrebbe, per noi italiani, una sorta di percorso di disintossicazione, una comunità di recupero per uscire dal tunnel del “calcio”.
Mi alzo io per primo e dico: “Ciao, sono Pietro, ho diciassette anni e non mi è mai piaciuto il calcio”. Io preferisco il Rugby. Quando si parla di questo sport, il “Rugby”, quasi tutti pensano alla violenza, al contatto fisico. Sono più che sicuro che un sacco di genitori hanno paura di far giocare a Rugby i propri figli. Questo sport poco conosciuto tende a formare prima di tutto l’uomo. Sin da piccoli, sporcandosi le ginocchia si impara a cadere e a rialzarsi, non da soli, ma con l’aiuto di tutta la squadra, dei tuoi compagni. Si impara a subire sconfitte, ad incassare colpi e ad avere la forza di continuare a giocare.

Un altro aspetto che adoro del Rugby sono le partite. Allo stadio, non c’è distinzione tra i tifosi delle due squadre, ma siedono tutti insieme, mescolati. Nel Rugby nessuno si permetterà mai di insultare un avversario solo perché è del Nord o del Sud o per un qualsiasi altro motivo (considerata poi la stazza dei giocatori…). Un’altra bellissima cosa è il terzo tempo. I primi due tempi di gioco si svolgono in campo, e costituiscono il tempo di gioco. Il terzo tempo (quello che io preferisco) è il momento in cui, finita la partita, i tifosi delle due squadre (ed anche i giocatori delle due squadre) si incontrano. Probabilmente il terzo tempo non potrebbe mai essere inserito nel calcio, qualcuno finirebbe per accoltellare qualcun altro.

A questo punto credo concordiamo tutti sul fatto che il problema del calcio è la violenza, da parte di tifosi e giocatori.
Uno scenario a cui purtroppo assisto sempre più spesso è quello di alcuni genitori, che urlano, forsennati, alle partite dei figli.

Come scriveva Asimov, “La violenza è il rifugio degli incapaci”. Noi siamo proprio questo, “incapaci”. Incapaci di comprendere il significato della non-violenza, incapaci di rispettare il prossimo ed incapaci di comprendere il significato della parola “gioco”. Perché il calcio, in fondo, è un gioco, e come ogni gioco deve educare alla fratellanza e alla condivisione e ripudiare qualsiasi tipo di brutalità e aggressività.
In conclusione, ciò che mi sento di fare è invitare i cari lettori e i ragazzi a non rassegnarsi di fronte agli scontri di ogni giorno, che ormai non fanno neanche più notizia, ma provare a cambiare nel proprio piccolo le cose, cercando di essere meno violenti, un po’ più rilassati, perché è iniziando dal basso che si può effettuare una vera e propria rivoluzione, che si possono veramente cambiare le cose.

Parola di Pietro. 

Editoriale di Pietro Tancredi


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