Quando guardiamo
indietro e scorgiamo quella moltitudine di ricordi che hanno costruito come un
puzzle la nostra identità, quello definiamo passato. Il passato, tuttavia, può
esistere solamente quando c’è memoria, ossia quella capacità del cervello che
permette di conservare informazioni e richiamarle, quando vogliamo o quando
riceviamo un impulso esterno, sotto forma di ricordo. Questa, che è presente in
tutti gli animali seppur in misura diversa, è ciò che ci spinge a scegliere
un’azione o una reazione al posto di un’altra.
Il comportamento umano,
o animale in genere, è dunque sempre condizionato dalla memoria. Per non dire
poi che tutta la conoscenza umana si fonda unicamente su questa capacità.
Sin dall’antichità, i
filosofi in primis, si sono interrogati riguardo questa abilità posseduta
dall’uomo: Platone e Aristotele, ad esempio, parlavano di “conservazione di
sensazione”, più tardi, nel Medioevo, la memoria venne intesa come un bene
prezioso. Bisogna poi ricordare tra i vari filosofi sicuramente Spinoza, che la
descrisse come una concatenazione di idee, e Hume, che parlando di “abitudine”
diede vita al meccanismo associativo che è alla base della psicologia moderna.
Dalla memoria
individuale, poi, arriviamo a parlare di memoria collettiva, che non è altro
che l’insieme dei ricordi, quindi delle memorie, di più individui che vanno a
costituire una collettività. Dunque un popolo, o una nazione, ha memoria:
conserva nel proprio essere i comportamenti e gli avvenimenti del passato.
Tuttavia, come affermava Nietzsche con la sua metafora del gregge nella sua
opera Considerazioni inattuali – Sull’utilità e il danno della storia per la
vita, il popolo va avanti non sapendo cosa sia ieri e cosa sia oggi,
semplicemente sopravvivendo e non dando attenzione al passato. Nietzsche, però,
non disprezzava affatto l’oblio, che è necessario alla vita: per poter vivere
nel presente bisogna poter dimenticare il passato.
Bisogna ricorrere alla
memoria al momento giusto e nella giusta misura, altrimenti questa ci
paralizzerebbe.
Secondo Hobsbawm, i
giovani dello scorso secolo,- ma aggiungerei anche di questo-, sembrano vivere
in una sorta di presente permanente, nel quale manca ogni rapporto organico con
il passato storico del tempo in cui essi vivono. Non bisogna dimenticare,
infatti, che il presente che crediamo di vivere in ogni istante diventa già
passato e va a confluire nei nostri ricordi. Solo la memoria, in questo caso,
può venirci in aiuto perché “La memoria è il rombo sordo del tempo, scandisce
il distacco dal passato per tentare di capire quel che è accaduto” (E.
Loewenthal, “La Stampa”, 25/01/2002).
Questa affermazione è
particolarmente vera per la memoria collettiva, la storia, che deve guidarci
nelle nostre scelte per il futuro. Al giorno d’oggi la storia sembra avere
scarsa importanza, ma non è così nella realtà. Sulla storia si fonda la nostra
conoscenza, tutto il nostro sapere. La storia è un dono: grazie a questa gli
uomini hanno potuto, e possono arricchirsi interiormente e crescere. La storia
ci permette di conoscere il passato e illuminare il nostro futuro. Per questo
motivo << chi non conosce la storia è costretto a ripeterla>> (G. Santayana). Persone che non conoscono la storia
non hanno né passato né futuro e ricadono nei corsi e ricorsi storici di cui
Vico tanto parlava.
Nella poesia Residuo, Carlos Drummond de Andrade
affermava << di
tutto è rimasto un poco>>,
temo sia così anche per la storia, i cui insegnamenti, inizio a dubitare, non
siano giunti fino a noi, fino ai politici dei nostri tempi, che sostenendo
Trump o non rispettando il Trattato di Schengen dimostrano che dalla storia non
abbiamo appreso nulla.
A questo punto, come
faceva Primo Levi, mi chiedo << Perché la memoria del male non riesce a cambiare la
persone? A che serve la memoria?>>
-Iole Clarizia
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