Significativi sono
alcuni documenti tra cui la celeberrima lettera di Plinio il Giovane
all’imperatore Traiano sui Cristiani ed un brano degli Annales di Tacito dove si può riscontrare una concordanza di
pensiero rispetto al nascente cristianesimo. È opportuno, tuttavia, procedere
per passi in quanto l’argomento è abbastanza vasto. In primis bisogna considerare la diffusione del messaggio cristiano
all’interno della popolazione romana già a partire dall’impero di Claudio:
aderivano maggiormente alla “nova superstitio” specialmente i ceti più umili
della società romana, i poveri, i diseredati ecc. in quanto trovavano nel
messaggio evangelico una speranza di riscatto delle loro condizioni di vita ed
esistenziali. I romani, però, come si è detto prima, non avevano capito i veri
significati del messaggio cristiano e accusavano questi di relazioni
incestuose, in quanto si chiamavano tutti “fratello e sorella”, di
cannibalismo, poiché “mangiavano” il corpo ed il sangue di Cristo, di
cospirazione, in quanto si riunivano in segreto; insomma avevano fatto di loro
degli exempla di cattiva moralità. Il
loro odio, inoltre, scaturiva anche dal fatto che si rifiutavano di adorare gli
dèi pagani e l’imperatore. Tutta questa rabbia, tutto questo odio si scatenerà
durante le persecuzioni che saranno davvero cruente. Tra le più importanti si
ricordano: quella di Nerone che fu la prima, quella di Domiziano, quella di
Decio che fu tra le più cruente ed addirittura fu accompagnata da un editto che
designava il cristianesimo come crimine (prima di Decio non esisteva alcun
editto che considerava il Cristianesimo fuorilegge), quella di Valeriano e
l’ultima quella di Diocleziano che fu altrettanto cruenta(durante quest’ultima
a Salerno vennero decollati i SS. Martiri Salernitani Felice, Caio, Ante e
Fortunato). Dopo Diocleziano, con l’editto di Milano del 303, Costantino porrà
fine alle persecuzioni. Per capire il giudizio che i romani avevano del
Cristianesimo può essere esemplare l’epistola 96 di Plinio il Giovane, quando
era governatore della Bitinia, a Traiano. Questo è il testo integrale:
“Plinio
all’imperatore Traiano
È
mio costume o signore, portare a tua conoscenza tutte le questioni che mi
lasciano perplesso, poiché nessuno meglio di te potrebbe o guidarmi nelle mie
esitazioni o illuminarmi nella mia ignoranza. Non sono mai stato presente ad
alcun processo dei cristiani e perciò ignoro che cosa solitamente, ed entro
quali limiti, si sottopone a inchiesta o si colpisce con una pena. E sono
rimasto alquanto incerto se si debba fare qualche differenza tenendo conto
dell’età o se, per quanto fanciulli, non si debbano distinguere affatto da
quelli in età più avanzata; se si debba concedere il perdono a chi si pente
oppure se, a chi sia stato sicuramente cristiano, non giovi aver cessato di
esserlo; se si debba punire il nome di cristiano in sé e per sé, pur in assenza
delle loro colpe infamanti, o soltanto le infamie che a quel nome sono
associate. Nel frattempo, questa è stata la via da me seguita nei riguardi di
coloro che mi venivano denunciati come cristiani: ho chiesto loro se erano
cristiani, ripetendo una seconda e una terza volta la stessa domanda,
aggiungendo la minaccia del supplizio a chi confessava di esserlo: e al
supplizio ho fatto condurre gli ostinati nella loro professione [di fede],
ritenendo senza alcuna esitazione che, qualunque cosa fosse questo
cristianesimo di cui si confessavano seguaci, quell’ostinazione e caparbietà
inflessibile andasse senz’altro punita. Tra i presi da simile pazzia ce n’erano
altri che, in quanto cittadini romani, ho messo in nota per farli tradurre a
Roma. In seguito, proprio come conseguenza dei procedimenti giudiziari, ed è cosa
solita, aumentarono le denunzie e mi si presentarono parecchi altri casi. Si è
resa di dominio pubblico un’accusa anonima con i nomi di molte persone; io ho
ritenuto opportuno mandare assolti quelli che negavano di essere o di essere
stati cristiani quando, mentre pronunciavo io per primo la formula, invocavano
gli dei e facevano atto di adorazione alla tua statua, che proprio a questo
scopo avevo fatto portare con le immagini dei numi, con l’offerta di incenso e
vino, e per di più bestemmiavano Cristo: tutti atti cui è impossibile, a quel
che mi si dice, costringere quelli che sono veramente cristiani. Altri, il cui
nome era stato fatto da un delatore, affermarono di essere cristiani e subito
dopo lo negarono: lo erano sì stati, ma avevano cessato di esserlo, certuni già
da tre anni, cert’altri da più ancora, qualcuno addirittura da venti. Anche
costoro adorarono tutti sia la tua statua che le immagini degli dei, e
bestemmiarono Cristo. Affermavano d’altra parte che la loro colpa o il loro
errore si riduceva essenzialmente alla consuetudine di riunirsi in un giorno
determinato prima dell’alba per cantare alternativamente fra loro un inno in
onore di Cristo come se fosse un dio, e di impegnarsi con solenne giuramento
non già a compiere qualche misfatto, ma a non commettere furti, rapine,
adulteri, a non tradire la parola data, a non rifiutare di restituire, se
richiesti, una cosa ricevuta in custodia. Dopo aver compiuto tali cerimonie,
abitualmente se ne andavano per poi riunirsi di nuovo per prendere del cibo,
ordinario, comunque, e innocente: una pratica a ogni modo abbandonata dopo il
mio editto con il quale, secondo le tue istruzioni, avevo proibito le
associazioni politiche. Tutto questo mi indusse a ritenere ancora più
necessario di sottoporre a interrogatorio, anche mediante la tortura, due
schiave, chiamate diaconesse, per scoprire che vi fosse di vero: non sono
riuscito a trovare altro che una perversa e sfrenata superstizione. Di
conseguenza, ho rinviato l’inchiesta per ricorrere al tuo consiglio, dato che
si tratta a mio avviso di un problema che merita che io ti consulti per il gran
numero degli accusati: ché sono molti quelli che vengono e verranno posti sotto
processo, di ogni età, di ogni condizione sociale e finanche di ambo i sessi.
Il contagio di questa superstizione si è diffuso non solo nelle città ma anche
nei villaggi e nelle campagne, ma a mio avviso si può arrestarlo e porvi
rimedio. Si sa comunque con certezza che si è ripreso a frequentare i templi,
già quasi abbandonati, a celebrare i consueti riti, da lungo tempo interrotti,
e a vendere la carne delle vittime, di cui finora assai di rado si riusciva a
trovare un compratore. Non è di conseguenza difficile arguire che un gran
numero di persone potrebbe essere tratta dall’errore, qualora si concedesse
loro la possibilità di pentirsi.
In questa epistola Plinio
spiega all’imperatore Traiano i provvedimenti da lui presi nei confronti dei
Cristiani. Tuttavia è evidente che Plinio affronti il problema solo da un punto
strettamente politico preoccupandosi solo dell’ostilità dell’opinione pubblica.
Ed ecco il giudizio: il cristianesimo è considerato una “perversa e sfrenata
superstizione” (superstitio nova et
malefica) ovvero una sorta di credenza rovinosa. In poche parole i
cristiani erano visti come una setta di ebrei più osservanti. Ed ecco la
risposta di Traiano:
“Traiano
a Plinio
La
via da te seguita, mio carissimo Plinio, nell’esame dei processi di coloro che
ti furono denunziati come cristiani è stata quella giusta, poiché non è
possibile stabilire in generale un principio che contenga per così dire una
norma fissa. Non si devono ricercare: in caso però di denunzia e di
confessione, vanno puniti, con la riserva tuttavia che l’apostasia dal
cristianesimo, dimostrata di fatto con l’adorazione dei nostri dei, ottenga a
chi si dichiari pentito, per quanto sia sospetto per il passato, il perdono.
Per quanto poi si riferisce alla pubblicazione di denunce anonime, non devono
aver valore in nessuna accusa: ché sarebbe di pessimo esempio e contrario allo
spirito dei nostri tempi”.
Traiano approva la
linea seguita da Plinio solo che gli chiede di non considerare le denunce
anonime.
Anche Tacito negli Annales ( XV 44, 2-5) dirà che sotto
l’impero di Tiberio, in Giudea, quando era procuratore Ponzio Pilato, fu
processato un uomo detto il Cristo che ha dato origine ad una exitiabilis superstitio ovvero ad una
rovinosa superstizione. Ed ecco come il giudizio di Tacito e di Plinio sono
concordi e questo fa capire che cosa pensavano i romani pagani del cristianesimo:
una credenza pericolosa.
In conclusione, solo a
partire dal V secolo, la situazione è cominciata a cambiare grazie al pensiero
degli Padri Apologisti e dei Padri della Chiesa.
- - Francesco Sorgente
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